19 Ottobre 2025

Intervista a Margherita Spampinato, regista di “Gioia mia” – Alice nella Città

Intervista a Margherita Spampinato, regista di “Gioia mia” – Alice nella Città

In occasione della 20a edizione della Festa del Cinema di Roma e di Alice nella Città, abbiamo deciso di dare voce ai registi presenti con opere prime. Interviste esclusive che ci hanno offerto ritratti personali empi di autenticità e urgenza. Ogni esordio è una promessa di rinnovamento per il cinema italiano, un atto di coraggio che trasforma un’esperienza intima in visione collettiva.

Nella sezione Panorama Italia – Premio del pubblico di Alice nella città 2025, debutta Gioia Mia, opera prima di Margherita Spampinato, prodotta da Yagi Media. La trama narra di Nico, adolescente cresciuto in una famiglia laica e in un mondo tecnologico e iperconnesso, costretto a passare l’estate in Sicilia, ospite di un’anziana zia, signorina religiosissima e scorbutica che vive sola, in un antico palazzo pieno di leggende e superstizioni. Lo scontro tra modernità e passato, tra ragione e religione, tra velocità e lentezza, segna l’inizio del loro burrascoso rapporto. Eppure pian piano, nascerà un legame profondo.

Gioia mia è un viaggio intimo tra due mondi opposti, la modernità disincantata e la spiritualità arcaica, che, nell’incontro tra un ragazzo e un’anziana zia riottosa e diffidente, si riconcilia in un legame capace di svelare la meraviglia nascosta nel mistero, nella memoria e nell’amore umano. Nell’intervista che segue, la regista ci racconta la genesi del film, spiegandoci il vero significato del suo ingresso nel panorama del cinema italiano.

Cosa significa realizzare un’opera prima nel perimetro del cinema emergente di oggi?

È un bel momento per il cinema emergente italiano che è in continuo fermento, ricco di voci nuove, autentiche e molto diverse tra loro. Realizzare un’opera prima in questo contesto significa trovare la propria voce costruendo un percorso personale. Non esiste una sola strada per arrivarci, ogni regista ha il proprio percorso, con tempi, esperienze e consapevolezze differenti. Nel mio caso, sono arrivata alla regia dopo molti anni di lavoro nel cinema, prima come segretaria di edizione e poi nel casting, due esperienze che ho amato molto e che mi hanno dato strumenti tecnici e umani preziosi. Il lavoro di segretaria di edizione mi ha permesso di conoscere il linguaggio tecnico del set, le ottiche, i tempi, la gestione di ogni reparto e, soprattutto, di osservare da vicino grandi registi come Franco Battiato, Sergio Castellitto e Marco Bellocchio, dai quali ho imparato moltissimo. Il casting, invece, mi ha insegnato a lavorare con la recitazione. Tutto questo mi ha permesso di arrivare alla regia con consapevolezza, sapendo come tradurre in immagini la storia che avevo scritto e immaginato, e riuscendo finalmente a darle forma nel modo più fedele possibile alla mia visione.

A quali sfide e opportunità si approccia una regista alla sua opera prima?

Viviamo in un’epoca dominata dalla ripetizione, dalla simulazione, dall’omologazione e dalla distrazione e anche il cinema spesso ne risente. In questo scenario, la sfida principale per una regista che affronta la sua opera prima è quella di rischiare, di osare e riuscire a mettere in scena la propria storia senza lasciarsi condizionare dalle logiche commerciali o dalle mode del momento. L’opera prima è il momento in cui si definisce il proprio linguaggio e il proprio immaginario. Credo sia importante avere fiducia nel proprio sguardo e fare il possibile per invitare il pubblico in uno spazio di creatività, dove le domande contano più delle risposte e dove lo spettatore viene rispettato non perché consuma, ma perché partecipa.

Cosa ti ha spinto a scegliere proprio questa tematica come fulcro del tuo debutto registico?

L’idea di Gioia mia nasce dai miei ricordi d’infanzia. Sono cresciuta a Roma in una famiglia laica e razionale, senza troppe regole. L’atmosfera di casa mia era molto diversa da quella che trovavo in Sicilia, dove ogni estate trascorrevo le vacanze a casa delle mie anziane zie “signorine”, le cugine di mia nonna. Da loro respiravo un’atmosfera profondamente religiosa, ma anche magica e superstiziosa, erano convinte dell’esistenza degli spiriti, e questo per me era potentissimo. Mi portavano in chiesa, mi facevano fare il pisolino, mi insegnavano le buone maniere. Io amavo moltissimo entrambe le dimensioni: quella romana e quella siciliana, quel contrasto tra il pensiero logico e l’intuizione, tra la scienza e il mistero, mi è rimasto dentro ed è diventato il cuore del film.

Quali sono i tuoi riferimenti cinematografici?

I film di Vittorio De Sica, Ettore Scola, Federico Fellini e Luis Buñuel, seppur così diversi tra loro, sono quelli che porto dentro da sempre, hanno formato il mio sguardo e il mio modo di intendere il cinema come luogo di umanità, sogno e riflessione. Amo il loro modo di raccontare la vita con ironia, profondità e una costante apertura al meraviglioso.

Allo stesso tempo, di François Truffaut e Pedro Almodóvar ammiro il loro modo di amare i propri personaggi, di raccontarli con empatia, senza giudizio, e di dare spazio alla loro fragilità e complessità emotiva. Questi registi, pur così diversi tra loro, hanno in comune la capacità di unire il personale all’universale, e credo che sia proprio questo l’obiettivo più alto che il cinema possa raggiungere.

Chi è la regista

Margherita Spampinato, palermitana classe ’79, ha maturato una lunga esperienza nel cinema come segretaria di edizione, lavorando con registi del calibro di Pupi Avati, Sergio Castellitto e con il cantautore Franco Battiato. In seguito si è dedicata al casting per cinema e televisione, giungendo alla regia con alcuni cortometraggi pluripremiati come Tommasina e Segreti.

Il film in pillole

GIOIA MIA – Opera prima

  • Alice nella Città  – Panorama Italia – Premio del pubblico
  • Regia: Margherita Spampinato
  • Produzione: Italia
  • Produttori: Yagi Media
  • Cast: Marco Fiore, Aurora Quattrocchi, Martina Ziami

Photo credit: Claudio Cofrancesco